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Monastero di S. Caterina

Descrizione

Il monastero Anche se la ricerca storica, suffragata da recenti scavi archeologici, sembra definitivamente orientata a negarlo, la tradizione ebraico-cristiana colloca nel cuore delle più alte e impevie montagne del Sinai il luogo in cui Mosè ricevette da Dio le Tavole della Legge. Questo luogo corrisponderebbe al Gebel Musa, o monte di Mosé, più noto come monte Sinai, 2285 m, una cima situata poco a nord del Gebel Katherina, che precipita su una stretta valle rocciosa, il Wadi Shuwaiba (o Wadi ad-Dayr, che significa "valle del monastero"), al cui centro sorge il famoso monastero di S. Caterina, un luogo di preghiera cristiano, da sempre rispettato da ebrei e musulmani.
Già nel 330 dopo Cristo una piccola comunità di monaci si era installata in questa valle, più o meno all'epoca in cui si affermo la tradizione secondo cui queste montagne sarebbero state quelle visitate dagli Ebrei durante la loro peregrinazione tra Egitto e Israele. I monaci chiesero all'Imperatrice Elena, la santa che fu madre di Costantino, di erigere una cappella sul luogo ove essi ritenevano di aver individuato il Roveto Ardente, ovvero il sito in cui Dio si era mostrato a Mosè nel bagliore del fuoco. Sant'Elena esaudì la richieta e la chiesa venne dedicata alla Theotòkos, la Madre di Dio. Il monastero sarebbe invece sorto, come testimoniano alcune iscrizioni, nel 557 per iniziativa di Giustiniano, che ampliò la cappella originaria e la protesse con mura così possenti, di cui c'è traccia ancor oggi, da renderla inespugnabile. La dedicazione del monastero a Santa Caterina va rintracciata nell'agiografia della martire alessandrina il cui corpo, al momento della morte ordinata dal tetrarca Massimo nel primo decennio del IV secolo, sarebbe stato sottratto ai suoi carnefici dagli angeli. Le reliquie di Caterina sarebbero ricomparse 300 o 500 anni più tardi (cioè nel VII o IX secolo) non lontano dal monte Sinai, sulla cima più alta della penisola sinaitica, che da allora prese il nome della santa. Il corpo fu trasportato nel monastero, dove ancora riposa.
Il roveto ardente Le ragioni storiche che permisero, a partire dal VII secolo, al monatsero di Santa Caterina di resistere all'urto dell'Islam non sono completamente chiare. La tradizione vuole che i monaci chiedessero protezione direttamente al Profeta e che Maometto si sia spinto fino alla stesura di un "testamento", l'athinamè, in cui ordinava ai suoi di proteggere in perpetuo il sito. Al di là delle leggende, è evidente, in ogni caso, come né i monaci né il santuario avrebbero potuto salvarsi dalla distruzione per mano dei musulmani se non ci fosse stata in questi ultimi una precisa volontà in tal senso. Nei secoli successivi, i numerosi invasori arabi che occuparono il territorio del Sinai difesero sempre questo luogo sacro, sia per la sua importanza religiosa sia per l'opera umanitaria dei monaci, che devolvevano parte delle ricchezze del monastero alle popolazioni beduine insediate su questi monti. Nel corso della sua lunga storia Santa Caterina ricevette molte donazioni, tra cui preziosi volumi e splendide icone, che ne hanno arricchito la straordinaria biblioteca, considerata una delle più grandi e importanti del mondo.
L'edificio situato a 1570 m, tra le pendici a picco del Ras Safsafa, che impedisce la vista della vetta del monte Sinai, a sud, e quelle del Gebel ad-Dayr, a nord, ha la struttura di una cittadella fortificata le cui poderose mura, che raggiungono anche i 3 m di spessore e altezze variabili dagli 8 ai 25 m, abbracciano un quadrilatero irregolare di poco più di 6000 mq di superficie. Al loro interno si apre un intricato dedalo di minuscole strade, archi, cupole, passaggi e corridoi, disteso come una rete tra edifici che si accavallano l'uno sull'altro. Di questi, purtroppo, la maggior parte non è aperta al pubblico dei visitatori, che si deve accontentare di percorrere solo un paio di stradine e visitare la basilica.
Quest'ultima ha origine dalla prima cappella del Roveto Ardente, cui è sovrapposto il katholikòn, la chiesa del monastero, voluto da Giustiniano nel 557. Alla chiesa si sono venute aggiungendo numerose cappelle, che non nr hanno alterato, tuttavia, l'impianto originale bizantino, con la grande navata centrale delimitata da colonne granitiche, oggi stuccate. Sullo sfondo si trova l'iconostasi in marmo e legno dorato, che separa la navata dal Santo Bema, ovvero il presbiterio absidato che rappresenta la parte più sacra dell'edificio: la conca dell'abside è decorata dallo splendido mosaico della Trasfigurazione, del VI secolo. Dietro l'abside si trova la cappella del Santo Roveto Ardente, dedicata all'Annunciazione della Maternità Divina (Theotòkos), in cui è rappresentata Maria Vergine (roveto no bruciato dal fuoco divino) con il figlio tra le braccia. Ma queste parti del tempio, oltre l'iconostasi, non sono accessibili al pubblico.